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IL PUNTO SU ....

Testis non est iudicare: il filo sottile tra racconto dei fatti e le considerazioni tecniche del teste
di Michele MONTRANO


Come è noto nel diritto penale la testimonianza è regolata dagli articoli dal 194 al 207 del c.p.p. e rappresenta uno strumento fondamentale di prova. E' all'interno del dibattimento che la testimonianza trova la sua naturale concretizzazione come prova. A nulla rileva il fatto che il soggetto sia stato già sentito durante le indagini preliminari come "persona informata sui fatti". Infatti il giudice, a differenza delle parti, non conosce la precedente deposizione. E' possibile che in caso di dichiarazioni diverse, rispetto alla precedente deposizione, il soggetto che sta esaminando il teste può invocare la "contestazione" esponendo la precedente dichiarazione e chiedendo alla persona di giustificare le relative difformità. Ciò nonostante quello che emergerà in dibattimento sarà utilizzabile come prova.
La testimonianza deve avere come oggetto i fatti determinati, specifici, ed il teste non può esprimere né giudizi morali, sociali o giuridici, né apprezzamenti personali o voci correnti. Infatti l'articolo 194,comma 3, c.p.p. dispone che il "testimone è esaminato su fatti determinati. Non può deporre sulle voci correnti nel pubblico né esprimere apprezzamenti personali salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti". E' una regola che rappresenta l'espressione del brocardo latino "testis non est iudicare" per evitare che la testimonianza possa trasformarsi in una soggettiva interpretazione dei fatti. Tuttavia è consentito esprimere apprezzamenti che non possono essere scissi dalla deposizione dei fatti e sarà il Giudice ad impedire inammissibili valutazioni personali.(1)
La questione appare significativamente evidente nelle cosiddette "testimonianze tecniche" dove il teste inevitabilmente riporta, nella propria deposizione, alcune considerazioni che appartengono alle proprie conoscenze in materia. Più volte al sottoscritto, chiamato a testimoniare su numerosi procedimenti relativi a infortuni sul lavoro, si è palesato il dubbio se durante la deposizione in aula non abbia travalicato la linea sottile tra esposizione del fatto e considerazione tecnica legata all'evento.(2)
Recentemente il problema è stato affrontato dalla Suprema Corte in relazione all'esame di una sentenza relativa ad un caso di infortunio sul lavoro.(3) Il caso riguardava un evento lesivo avvenuto il 15 ottobre 2004 per caduta da una impalcatura priva dei necessari presidi di sicurezza. Il datore di lavoro era stato tratto a giudizio davanti al Tribunale di Ancona per rispondere del reato di cui all'articolo 590 c.p. commi 2 e 3 in relazione alle contravvenzioni di cui agli articoli 16 e 24 del D.P.R. n. 164/56. Il Tribunale sentenziava la penale responsabilità dell'imputato e lo condannava, per le contravvenzioni, alla pena di mesi tre di arresto, e per le lesioni colpose gravi alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, con i doppi benefici, oltre al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.
Seguiva ricorso in appello ed in data 29 settembre 2011, in parziale riforma della sentenza, all'imputato veniva ridotta la pena per intervenuta prescrizione relativamente ai soli reati contravvenzionali.
Il datore di lavoro proponeva ricorso in Cassazione adducendo, tra i vari motivi, anche l'illegittima acquisizione della testimonianza dell'ispettore della A.S.L. che aveva svolto l'indagine. Il ricorrente lamentava infatti che i giudici di merito avevano ritenuto la responsabilità penale dell'imputato fondando il proprio convincimento, principalmente, sulle dichiarazioni rese dal teste del pubblico ministero, appunto un ispettore, quasi aderendo in maniera acritica alle stesse. Il predetto teste infatti, oltre ad alcuni chiarimenti in merito all'attività da lui svolta, si sarebbe spinto a compiere, in sede dibattimentale, apprezzamenti e valutazioni, quanto alla dinamica dell'evento, con riferimento a dichiarazioni di altri soggetti sentiti a sommarie informazioni nella fase delle indagini preliminari, sebbene egli non avesse assistito all'evento dannoso, assumendo in tal modo il ruolo di consulente tecnico del pubblico ministero. Tale prova, pertanto, ad avviso dell'imputato ricorrente, sarebbe stata illegittimamente acquisita e quindi inutilizzabile e, pertanto, la sentenza impugnata, avendo avuto la testimonianza di cui sopra una efficacia determinante sul convincimento del giudice, doveva essere annullata.
In via preliminare la Corte di Cassazione osserva che con riferimento al reato contestato al ricorrente previsto dall'articolo 590 commi 2 e 3 c.p., commesso in data 15 ottobre 2004, risulta essere decorso il termine massimo di prescrizione pari ad anni sette e mesi sei. Dichiara comunque infondati i motivi di ricorso ai fini delle statuizioni civili ed in particolare con riferimento alla utilizzabilità delle dichiarazioni dell'ispettore della A.S.L. affermando che il suddetto teste riferì quanto accertato nell'espletamento dell'attività di indagine svolta nella sua qualità di ispettore dell'ASUR in materia di lavoro, intervenuto sul luogo dell'infortunio per gli accertamenti, testimone quindi particolarmente esperto in materia infortunistica.
La Corte ha ricordato che sul punto si è espressa la condivisibile giurisprudenza di Cassazione (cfr, tra le altre, Cass., Sez. 2, Sent. n 44326 dell'11.11.2010, Rv. 249180) secondo cui il divieto di apprezzamenti personali del testimone non è riferibile ai fatti direttamente percepiti dallo stesso, al quale, a causa della speciale condizione di soggetto qualificato, per le conoscenze che gli derivano dalla sua abituale e specifica attività, non può essere precluso di esprimere apprezzamenti, se questi sono inscindibili dalla deposizione sui fatti stessi.


note
(1) Si veda sentenza Cass., 6 giugno 2005, n. 11747: "E' principio costantemente affermato in giurisprudenza che la prova testimoniale deve avere ad oggetto fatti e non apprezzamenti e che il giudice del merito deve negare valore probatorio decisivo alle deposizioni testimoniali che si traducono in una interpretazione soggettiva ovvero in un mero apprezzamento tecnico del fatto (cfr. Cass. n. 5 del 2001, Cass. n. 2270 del 1998, Cass. n. 4111 del 1995). Per le valutazioni di natura specialistica e tecnica della situazione da esaminare il giudice del merito poteva opportunamente avvalersi dello strumento giuridico specifico offertogli dal codice di rito, ossia di una consulenza tecnica d'ufficio, che oltretutto offriva maggiori garanzie di tutela per il contraddittore."
(2) A tal fine è utile citare la sentenza di Cass. pen., 19 settembre 2007, n. 40840: "Sono ammissibili ed utilizzabili le dichiarazioni del testimone "tecnico", ovvero particolarmente esperto in un dato settore, che riferisca dati di fatto, sia pur nella percezione "qualificata" consentita dalle sue speciali conoscenze, non anche quelle contenenti valutazioni dei predetti dati di fatto secondo il soggettivo apprezzamento del testimone, che potrebbero entrare a far parte del materiale probatorio soltanto attraverso una consulenza tecnica (od una perizia)". Si veda anche la sentenza n. 12942 del 16/01/2007: "Non incorre nel divieto di esprimere apprezzamenti personali il testimone, che, in forza della specifica preparazione tecnica, risponde su fatti e circostanze concernenti la sua attività professionale e fornisce elementi di supporto agli atti compiuti dalla polizia giudiziaria. (Fattispecie in cui il testimone, in un procedimento per i reati di truffa e falso in titoli di credito, aveva affermato, a proposito di un assegno bancario, che era una riproduzione fotostatica idonea a trarre in inganno il beneficiario del titolo)"
(3) Cassazione Penale, Sez. 4, 17 gennaio 2013, n. 2572.




24 maggio 2012
Formazione per lo svolgimento diretto da parte del DL dei compiti del SPP (di Michele MONTRANO)

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25 febbraio 2012
Analisi del DPR 177 del 14/09/2011
(di Michele Montrano e Giacomo Porcellana)

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21 ottobre 2011
Denuncia dei dispositivi di messa a terra e obblighi di verifica.
Il problema della sanzionabilità dell'inadempimento
(di Michele MONTRANO e Giacomo PORCELLANA)

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La Corte di Cassazione prende in esame un infortunio sul lavoro avvenuto in un cantiere edile e conferma la condanna anche del direttore dei lavori.
Dott. Michele MONTRANO


Come è noto nei lavori edili il ruolo del direttore dei lavori è essenzialmente legato alla verifica della conformità dell'opera in esecuzione rispetto al progetto ed a quanto indicato nel capitolato di appalto. In altre parole l'attività di questo soggetto deve assicurare che l'opera sia eseguita in conformità del progetto ed a regola d'arte, deve inoltre verificare la qualità e la quantità dei materiali impiegati nella costruzione, al fine di evitare, per quanto possibile, le frodi che possano essere consumate a danno del committente. La sua prestazione professionale non è quindi rivolta ai lavoratori bensì al manufatto.
In effetti da sempre la normativa antinfortunistica (sia i vecchi D.P.R. emanati alla metà degli anni '50 -D.P.R. 547/55; 164/56; 303/56 - sia il più recente D. Lgs. n. 81/08) non prende in considerazione tale figura in ordine ad assegnazione di compiti inerenti la sicurezza e la salute dei lavoratori. Si può concludere che la figura del direttore dei lavoro non rientra, di regola, nell'elenco dei destinatari delle disposizioni a tutela del lavoratore.
Ciò nonostante non sono rari i casi in cui la figura del direttore dei lavori viene coinvolta in vicende giudiziarie legate ad infortuni sul lavoro. Questo coinvolgimento è spesso generato dal fatto che il direttore oltre ad effettuare la propria attività professionale ha ricoperto anche altre funzioni oppure, ad esempio, si è ingerito nelle modalità esecutive dell'opera riconducibili a ordini o addirittura richieste di trascurare l'utilizzo di mezzi di prevenzione e protezione per i lavoratori. In questi casi la Corte di Cassazione tende a far prevalere la sostanza sulla forma e chiama a rispondere dell'infortunio sul lavoro anche il direttore dei lavori "quando gli viene affidato il compito di sovrintendere all'esecuzione dei lavori con la possibilità di impartire ordini alle maestranze sia per convenzione cioè per una particolare clausola introdotta nel contratto di appalto, sia quando per fatti concludenti risulti che si sia in concreto ingerito nell' organizzazione del lavoro" (Cfr. Cass. pen. Sez, IV 8 febbraio 1994 n. 1559).
Nella sentenza 21 dicembre 2010 n. 44844 la Suprema Corte di Cassazione affronta un ulteriore caso di infortunio sul lavoro avvenuto in un cantiere edile che aveva visto la condanna sia del datore di lavoro della parte offesa sia del direttore dei lavori.
I due soggetti erano stati condannati dal Tribunale di Brescia, sez. dist. di Salò con sentenza del 7 dicembre 2007. Successivamente la Corte d'Appello di Brescia, con sentenza 20 novembre 2009 - aveva dichiarato estinto per prescrizione il reato contestato agli imputati e ha confermato le statuizioni civili adottate dal primo giudice.
I giudici di merito avevano accertato che la persona offesa (che prestava attività lavorativa irregolare alle dipendenze di R.), mentre scendeva da un sottotetto utilizzando una botola, era caduto al suolo da una altezza di sei metri per lo spostamento della scala che stava utilizzando. L'addebito di colpa riguarda l'utilizzazione di una scala inidonea, priva di dispositivi di sicurezza e non agganciata a parti fisse dell'edificio. R. era stato ritenuto responsabile dell'infortunio nella sua qualità di datore di lavoro e B. quale direttore dei lavori.
Contro la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso il solo direttore dei lavori il quale ha dedotto un'unica censura con la quale si deduce il vizio di motivazione con riferimento alla mancata risposta al motivo di appello concernente la dedotta violazione dell'art. 522 c.p.p..
Il ricorrente censura poi l'equiparazione, compiuta dalla Corte di merito, delle funzioni svolte dal ricorrente con quelle del direttore dei lavori, in mancanza dell'assunzione formale di una posizione di garanzia, non potendosi questa funzione desumersi dalla sola circostanza che occasionalmente siano state dal ricorrente impartite direttive al lavoratore infortunato.
Su quest'ultima censura la Corte di Cassazione si esprime giudicandola infondata in quanto, i giudici di merito, avevano accertato che B. aveva una posizione di supremazia nei confronti degli altri lavoratori ai quali impartiva con continuità ordini e direttivi. Questa conclusione è stata, nella sentenza impugnata, non affermata apoditticamente ma con il riferimento alle prove assunte nel giudizio ed in particolare alle dichiarazioni della persona offesa e dello stesso figlio del ricorrente. Al direttore dei lavori veniva attribuita una posizione di garanzia derivante dalla posizione di sovraordinazione nei confronti dei lavoratori riferita anche alla sicurezza del lavoro.

FORMAZIONE PONTEGGISTI E OBBLIGO DI AGGIORNAMENTO

L'articolo 136 del D. Lgs n. 81/2008 prevede che il datore di lavoro si deve assicurare che i ponteggi siano montati, smontati o trasformati ad opera di lavoratori che hanno ricevuto una formazione adeguata e mirata alle operazioni previste. I soggetti formatori, la durata, gli indirizzi ed i requisiti minimi di validità dei corsi sono riportati nell'allegato XXI dello stesso decreto.
In particolare il punto 6 di tale allegato (modulo di aggiornamento) stabilisce che i datori di lavoro provvederanno a far effettuare ai lavoratori formati con il corso di formazione teorico-pratico un corso di aggiornamento ogni quattro anni. L’aggiornamento ha durata minima di 4 ore di cui 3 ore di contenuti tecnico pratici. Il quadrienno decorre dalla data di conseguimento dell'ultimo attestato. Considerato che l'obbligo formativo è stato introdotto con il D. Lgs n.235/2003 che modificò il D. Lgs n. 626/1994 e che l'accordo Stato-Regioni che ha previsto i contenuti minimi dei corsi nonchè il relativo aggiornamento risale al 2006 (accordo del 26 gennaio 2006 pubblicato sulla G.U. n. 45 del 23/02/2006) , è presumibile che alcuni operatori che hanno frequentato i primi corsi di formazione per ponteggi in tale periodo hanno necessità ora di procedere agli aggiornamenti previsti.
dott. Michele Montrano


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